venerdì 5 agosto 2011

Progressi linguistici

Ti parla avvicinando la sua faccia alla tua e guardandoti serio serio dritto negli occhi.
Ripete la stessa parola più o meno comprensibile per almeno una decina di volte, cantilenandola, finchè non dai segno di essere felicissimo di averla capita perfettamente.
Ha i suoi cavalli di battaglia, oggetti identificati a cui ha dato un nome, e ogni volta che vede una forma che possa essere vagamente ricondotta a una categoria, la chiama pronunciando soddisfatto la parola corrispondente. Tra queste, le parole pentola (=pentola), "càion" (=camion), "campana" (a cui segue sempre "ton ton"), "tote" (=coche), "tura" (=spazzatura / basura), "avion" (=aereo), "neto" (=telefono, telecomando).
Ci sono le fissazioni, prima tra tutte "ciende-apaga" (=se enciende y se apaga), ovvero qualsiasi luce lampeggiante, da un aereo in cielo, alla sirena della polizia, al cancello di un garage. Un'attrazione irresistibile, che richiede di essere ammirata per lunghi minuti.
Esprime le prime dichiarazioni di intenti: "coco-me" (=esta cosa la cojo yo), "metto-io" (=voglio salirci sopra, in genere riferito a moto-macchine-biciclette-trattori, anche se in movimento e guidati da altri), "ccénde" (=mi sono rotto, sto scendendo, pronunciato in genere mentre scivola come un'anguilla tra le braccia), "antora-mà!" (=ancora!, màs!), "basta!" (una delle prime parole imparate, comunica il punto finale e inamovibile di qualsiasi situazione: un pasto, una coccola, un gioco, la cacca).
E poi "uca" (=musica"): è affascinato da qualsiasi ritmo, suono, genere musicale, che ascolta serio e attento per i primi secondi, per poi lasciarsi andare a una danza sfrenata e sorprendentemente a ritmo. La parola "Uca!" viene perentoriamente pronunciata all'ingresso in macchina, dove deve essere subito accesa l'autoradio, canta a squarciagola e si arrabbia quando parlano sopra le canzoni. Ovviamente ha i suoi pezzi preferiti, che spaziano dal repertorio di Caparezza (come il fratello), a "Cumpleanos feliz", al "Lago dei cigni" di Tschaikovsky.
La cosa sorprendente è che mentre la parola e il relativo concetto di "no" sono chiari ed espressi già da molto tempo, la parola "sì" è del tutto assente dal repertorio del nenito. Per esprimere assenso, si limita ad annuire con decisione, fissando come sempre dritto negli occhi.
Infine, il nenito ha imparato a rispondere alla fondamentale domanda "come ti chiami?": ti guarda, abbassa gli occhi, pausa ad effetto, e superando una certa timidezza risponde fiero: "Doddi!".

giovedì 4 agosto 2011

AMOR

Esco dall'ufficio alle 17.30 e vado direttamente in centro. Ho appuntamento con alcune amiche alle 20.00 per un aperitivo e andare poi qui.

Ho più di due ore per girellare senza meta in un tardo pomeriggio d'agosto per i vicoletti di Trastevere, il Ghetto, Campo dei Fiori, circondata da poco rumore - anche i turisti sembrano parlare più piano -, dai colori ocra, rosso, arancio accesi dal tramonto, dalla sensazione del tempo dilatato e senza limiti che solo 2700 anni di storia possono dare.

Roma, in un tardo pomeriggio d'agosto da il meglio di sé.

Si lascia scoprire lentamente, respirare, mi sussurra nelle orecchie le voci della gente che nei secoli ha vissuto questi vicoli, mi stupisce e mi incanta con infiniti particolari, mi fa dimenticare tutto il resto, placida e tranquilla come lo scorrere del Tevere sotto i suoi ponti.

E mi fa ricordare il motivo, i tanti motivi, che mi hanno trattenuto qui per 38 anni, con sentimenti che, come in tutte le lunghe convivenze, hanno attraversato tutte le fasi: l'innamoramento, la scoperta, la sopportazione, l'incapacità di staccarsi, la voglia di scappare, la curiosità, la rabbia, la noia, il fascino, l'intolleranza, il senso di appartenenza, l'indifferenza, l'orgoglio, la bellezza.

Roma, in questi rari, preziosi momenti, è solo mia.