Premetto che sono convinta che se al posto dei 17 anni amministrati da nani e ballerine avessimo avuto la serietà e la pragmaticità di questo governo ci troveremmo in una situazione certo migliore dell'attuale, ma rispetto a quest'ansia di convincerci che il posto fisso non è più di moda, vorrei riferire la mia semplice, personale esperienza.
Nel 2001 vinco un concorso per un contratto a tempo determinato presso una Pubblica Amministrazione.
Nel 2004, in attesa del mio primo bimbo compro una casa, vicino a casa dei miei genitori non perchè desiderassi ardentemente non spostarmi dal quartiere dove sono nata e cresciuta (anonimi palazzoni di una anonima periferia romana), ma perchè la vicinanza a "mamma e papà" avrebbe facilitato molto la gestione del bimbo, e forse, in un futuro, la gestione degli acciacchi della loro vecchiaia.
Sempre "mamma e papà" mi consentono di pagare gran parte del rogito del mutuo.
La banca ovviamente il mutuo non lo concede a me, con la mia busta paga precaria, ma di nuovo a "mamma e papà", pur pagandone le rate io e il mio compagno.
Nel 2007 la Legge Finanziaria stabilisce che io rientro tra coloro che hanno maturato il diritto ad essere stabilizzati.
Nel 2008 mi scade il contratto: la mia Amministrazione mi lascia a casa, e tanti saluti.
Sempre nel 2008 inizio un percorso giudiziario tortuoso, dispendioso, stressante e a tratti deprimente contro la mia Amministrazione, mentre precipito nel baratro del sussidio di disoccupazione, delle centinaia di curricula spediti a vuoto, di domande di concorsi impossibili e colloqui improbabili.
Nel 2009 inizio a barcamenarmi tra Cocopro, assegni di ricerca e Cococo presso l'ufficio dove sono sempre stata, con uguali mansioni, ma da precaria-invisibile.
Nasce, nel pieno dell'incertezza psico-economica, il mio secondo bimbo.
Nel gennaio 2011 con sentenza esecutiva il giudice del lavoro stabilisce che io HO DIRITTO ad essere assunta, cosa che avviene, dopo mesi di passacarte, a dicembre.
Sono ancora in attesa di sentenza definitiva, quindi si può dire che attualmente ho un "contratto indeterminato precario".
Eppure, cambia tutto.
Cambia l'organizzazione familiare: ho meno flessibilità di orari e meno tempo libero, ma anche, incredibilmente, una maggiore efficienza.
Cambia la responsabilità che ho verso i miei incarichi.
Cambiano i riconoscimenti.
Cambia l'atteggiamento dei colleghi.
Cambia la prospettiva di poter mettere da parte qualcosa per fare un giorno qualche spesa in più rispetto allo stretto necessario, ormai ridotto (senza neanche troppi traumi per la verità) allo strettissimo indispensabile.
Cambia la dignità del lavoro.
Cambia la vita il non vedere avvicinarsi la data della scadenza e senza sapere niente fino al giorno prima, e spesso fino a settimane dopo.
Cambia la serenità con cui posso guardare i miei figli, senza l'ansia di non sapere se potrò garantire loro quanto i miei genitori hanno garantito a me.
Quindi sì, sono una privilegiata, o una noiosa monotona, a seconda dei punti di vista: ho un posto fisso, nella mia città, vicino a mamma e papà.
Ma ho vissuto, da donna (vicino ai 40, quindi decisamente poco appetibile sul mercato) e da mamma, tutte le sfumature del precariato per poter dire che preferisco vivere così, barbosamente, che sperimentare intraprendenti e flessibili percorsi lavorativi.
Non essendo parente/amica di nessuno, non ora, non con 2 bimbi e un mutuo, e non in Italia.